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All that art. Le soglie dell'arte  
Alessandro Tempi
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 10 Gennaio 2003, n. 314
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Area Estetica

"Tutta questa arte, a che cosa serve ?"

Per rispondere alla domanda in epigrafe, si potrebbe partire dal prendere atto che l'arte è, come la religione e la filosofia, nella coscienza stessa degli uomini. Quindi non serve a niente. E' un'attività spontanea, come lo è sempre stato il credere in qualcosa di sovrannaturale o il pensare, anche queste cose che non servono a niente, ma che però ci hanno dato i templi greci, le chiese romaniche, il gotico, il rinascimento, Platone, Aristotele, Pascal, Cartesio, tutti i pensatori della nostra civiltà.

La seconda risposta potrebbe essere che tutta questa arte, oggi, serve a ben poco. O meglio, serve  ben poco oltre se stessa. L'arte è come la tecnologia : oltre un certo limite, essa si impadronisce dei bisogni che l'hanno fatta nascere e non li serve più, ma al contrario se ne serve per continuare ad esistere solo per se stessa. Come direbbe qualcuno : "essa non è, ma comunque funziona.

L'arte non è più la cosa che gli artisti fanno, è semmai una dimensione immateriale alla quale certi oggetti, pensieri, azioni aspirano e si elevano una volta varcate certe soglie. Ma queste soglie non hanno niente di particolarmente spirituale o teoretico, giacché si limitano a promuovere queste cose alla desiderata dimensione senza dirci perché. Queste soglie sono i musei, i critici, i collezionisti, il mercato, tutto un teatro di attori che recitano la loro parte solo perché quello è il loro lavoro - oppure un sistema interdipendente di individui capaci di parlare d'arte senza porsi la questione fondamentale circa la sua esistenza. Giacché porre la questione dell'esistenza dell'arte significherebbe porre automaticamente anche la questione della loro stessa esistenza. E questo nessuno lo vuole. Ecco perché questo sistema è, evidentemente, agnostico.

La maggior parte dell'arte, oggi, è solo arte in più, ininfluente, speciosa, autoreferenziale. E' sempre stato così ? Si può immaginare di sì : l'arte ha sempre servito il potere, che fosse sotto forma di faraoni, imperatori, papi, monarchi oppure di mercanti e collezionisti di oggi. E' il suo ambito, semmai, che è cambiato, si è ridotto, limitato, è diventato più esclusivo - l'arte di oggi sembra vivere in riserve protette (musei, collezioni, gallerie) del tutte avulse dal resto della società.

Ma forse c'è un'altra cosa che è cambiata, una cosa dalle conseguenze enormemente più gravi : l'immagine artistica non serve più l'immaginario dell'individuo. Per secoli essa ha raccontato storie sacre e profane, è stata l'unico sapere condiviso da individui incolti ed oppressi. Oggi essa sembra aver perso questo potere o forse l'ha solo consegnato, volente o no, ad altre forme d'immagine : il cinema, la moda, la pubblicità, il design. E' questo i nostro sapere, oggi. Sono questi i nostri narratori d storie, i padroni dispensatori del nostro immaginario. L'arte non può più niente su di noi.

L'arte non conta più oggi per l'uomo. Si può far risalire questo al momento in cui ciò che l'uomo ha sempre chiesto all'arte, vale a dire di imitare la natura, gli è stato fornito non più dagli strumenti tradizionali dell'arte - tela, pennello, colori, scalpello - ma da strumenti meccanici di riproduzione dell'immagine - fotografia, cinema - che in fatto di fedeltà naturale sono indubbiamente più perfetti. Da qui l'arte ha perso il suo potere magico, la sua capacità evocatrice, il suo fascino sull'uomo. Da qui l'arte si è ripiegata in se stessa rimanendo sola.

Perché l'arte si è sicuramente affrancata dalla società, non è più l'ancella della religione o del potere, ma da questa liberazione che cosa ha ricevuto in cambio ? Di diventare un mondo a parte, incomprensibile e, in molti casi, inarrivabile ; ciò le ha causato insomma l'oblio nel cuore degli uomini. Ma l'uomo davanti all'immagine - potremmo dire - non è più lo stesso uomo del Settecento o del Cinquecento, è un uomo progredito ed acculturato che non chiede più di essere ammaestrato. Sì, ma che cosa chiede l'uomo all'arte ancora oggi ? Chiede di essere stupito, sbalordito, oppure rilassato, blandito. Chiede, in una parola, di vedere ciò che desidera vedere, ovvero cose comprensibili. Chiede ancora di vedere la natura. Chiede di riconoscere ciò che gli è familiare. Chiede insomma di rispecchiarsi facilmente in essa. Chiede di essere rassicurato. Non chiede più di immaginare o di sognare. Per sognare ha già gli spot pubblicitari. Per immaginare ha già il cinema e la televisione - veicoli che lo sottraggano perfino allo sforzo dell'immaginazione - e questo sogno e questa immagini sono per lui altrettante forme di ammaestramento, perché gli dicono in cosa deve credere, in cosa deve sperare, cosa deve desiderare.  Perché tutto questo l'arte non glielo dice. Almeno non nella lingua che egli è disposto a capire.

 


 
 

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