bta.it Frontespizio Indice Rapido Cerca nel sito www.bta.it Ufficio Stampa Sali di un livello english
Le neoavanguardie sotto il segno della tecnologia  
Alessandro Tempi
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 27 Dicembre 2002, n. 312
http://www.bta.it/txt/a0/03/bta00312.html
Precedente
Successivo
Tutti
Area Multimedia

Spazialismo

Nella temperie italiana dell'Informale, lo Spazialismo di Lucio Fontana rappresenta uno squarcio di consapevolezza scientifico-tecnologica all'interno di una congiuntura artistica fortemente motivata da spinte irrazionalistiche e da un'aperta sfiducia nei valori conoscitivi. Già nel "Manifesto Blanco" redatto in Argentina nel 1946 - e che prelude ai sette manifesti spazialisti licenziati in Italia dal 1947 al 1953 - Fontana avvertiva l'esigenza di un collegamento non più solo teorico fra "gesto artistico" e realtà tecnologica, quasi che fra i due termini vi fosse uno stato di contiguità/continuità suscettibile di far avanzare l'esperienza artistica oltre la soglia del proprio tradizionale repertorio strumentario verso soluzioni "spaziali" di tipo tridimensionale o, appunto, ambientale. Tutta l'esperienza spazialista si muove appunto nella direzione di ripensare il linguaggio della pittura e della scultura non più come risultato della cogenza delle proprie condizioni tecniche di base, ma includendo in esso le dinamiche spaziali dell'opera, secondo una concezione che interpreta lo spazio non quale luogo dell'opera, ma come strumento di comunicazione opportunamente sollecitato da una sensibilità ambientale che assume talune tecnologie - la luce di Wood, il neon, la radio, l'immagine video - quali "mezzi tecnici di attivazione creativa" 1.

Posto in questi termini, lo Spazialismo può essere letto come uno sviluppo di talune premesse tecnomorfiche del Futurismo in ordine tanto alla concezione collassata dello spazio, quanto al concetto boccioniano di ambiente 2 come nuova dimensione della scultura. In realtà, come opportunamente Dorfles osserva, lo Spazialismo coincide per la pittura come per la scultura con l'uscita del modus comunicandi artistico dal suo ambito tecnico tradizionale per esplorare nuovi modelli operazionali capaci di porsi in più feconda sintonia con la cultura dell'epoca elettronica. In termini di linguaggio, insomma, le preoccupazioni dello Spazialismo non scorrono lungo l'asse delle relazioni fra significante e significato, vale a dire il rapporto fra mezzi e fini o fra mezzi e contenuto. Per lo Spazialismo i mezzi - fra i quali è da includere dunque anche lo spazio stesso dell'opera - non servono a  produrre l'opera, ma sono l'opera.

Le conseguenze del modello operativo-concettuale spazialista sono enormi: non solo esso permette di superare la barriera naturalistico-rappresentativa dell'arte, ma anche quella emozionale-esistenziale particolarmente cara agli Informali, con un sostanziale azzeramento delle istanze soggettive-autoriali dell'opera. Tutto ciò, come ben capite, non può che condurre ad un solo esito: l'abolizione del contenuto dell'opera e nell'opera d'arte, vale a dire dissoluzione e della sua eventuale essenza costitutiva, e del luogo immateriale del suo stesso senso.

L' "avventura nello spazio reale" 3 porta l'opera spazialista a definirsi ontologicamente non più come oggetto, ma come luogo soggetto unicamente alle determinazioni spazio-temporali del suo porsi in atto, del suo esserci, del suo durare in quanto azione modellatrice di una nuova realtà ambientale.

Ambiente è del resto il concetto-chiave dello Spazialismo, anche se in gradazioni diverse esso è presente anche in non poche esperienze artistiche di questo secolo: già Boccioni aveva intuito la dipendenza del rinnovamento del linguaggio sculturale da una nozione di ambiente concepito come uscita dalla staticità dell'opera; i Costruttivisti dal canto loro pensavano sicuramente in termini di "ambienti" (anche se in chiave ideologizzata) quando progettavano opere come i Proun (El Lissitsky, 1923) onde esaltare la funzione socializzante e propedeutico-rivoluzionaria dell'arte; K. Schwitters stesso, realizzando il suo Merzbau (1923) all'interno della propria casa di Hannover, Y. Klein esponendo il "vuoto" di una galleria d'arte (1957) o Pinot Gallizio con la sua Grotta dell'antimateria (1959) si muoveranno su una linea di intervento ambientale o "environmental" da cui si svilupperanno negli anni Sessanta gli happenings e le forme installative. Ma è senza dubbio a partire dalla versione fornitane dallo Spazialismo che il concetto di ambiente si è andato evolvendo da implicito corrispettivo di sperimentazioni esteticamente connotate (come lo avevano pensato insomma nella temperie delle avanguardie storiche) a elemento teorico-operativo fondante di una nuova prassi estetica che tende ad un'assoluta libertà di linguaggio.



Arte Cinetica e Programmata - Op Art

Ciò che accomuna molte delle avanguardie artistiche del secondo dopoguerra è il loro ricondursi, anche se in maniera non sempre esplicita, a taluni nuclei teorici delle avanguardie storiche. Questo è quantomai vero per quei fenomeni artistici che, come l'Arte Cinetica (o Programmata), si pongono sulla linea storica della continuità del motivo tecnologico.

Sviluppando alcune fondamentali intuizioni già elaborate negli ambiti del Futurismo (lo sbocco cinetico della figurazione boccioniana come esito estremo della sua dinamica spaziale), del Costruttivismo (l'accentuazione del momento metodologico) e del Surrealismo (l'automatismo dell'opera), gli artisti cinetici mirano a sperimentare  una gamma estremamente ricca di possibilità di movimento nell'opera d'arte, che per essi va a coincidere con la messa in atto di puri meccanismi. Le opere cinetiche sono infatti strutture semoventi e continuamente variabili, che tuttavia obbediscono a procedure di funzionamento determinate dal calcolo e da una rigorosa programmazione, pure se in frequente rapporto dialettico con fattori aleatori 4. Ciò che caratterizza queste opere è pertanto il movimento, che da un punto di vista estetico significa possibilità di modificare il proprio assetto strutturale col variare delle condizioni spaziali e temporali, modificando nel contempo i dati che se ne offrono alla percezione umana.

Nelle opere cinetiche il movimento può essere di due tipi: reale, cioè prodotto da meccanismi elettromagnetici oppure indotto da agenti naturali (nel caso dei "Mobiles" di A. Calder); oppure virtuale, vale a dire come risultato apparente di effetti visivi e percettivi alterati dalle ingerenze dell'osservatore nello spazio dell'opera (come nel caso della pittura "optical" di V. Vasarely). Questo secondo tipo di movimento pone in evidenza una delle caratteristiche più significative dell'estetica cinetica: le opere sollecitano una più diretta ed attiva presenza dell'osservatore, che è chiamato a stabilire con esse un rapporto di immediatezza percettiva prima che di comprensione od interpretazione. Da questo fatto si capisce anche quali siano, in fondo, le direzioni in cui questa particolare estetica si orienta: da un lato l'accrescimento  nell'uomo di una generale consapevolezza percettiva, dall'altro l'approfondimento di tutto ciò che concerne l'esperienza degli eventi visivi che tuttavia qui si esprimono attraverso un vocabolario rigorosamente aniconico.

Concorrono tuttavia a specificare l'arte cinetica alcuni fattori estrinseci che ne rivelano anche le sue ambizioni di ricerca parascientifica: in primo luogo le sue sperimentazioni si pongono deliberatamente sotto l'egida della psicologia cognitiva e gestaltica, che ne rappresenta  in qualche modo il generale sfondo teorico; inoltre il suo modello operativo fa largo uso di innovazioni tecnologiche quali il laser, la luce artificiale ed il neon, esaltandone le qualità sperimentali; infine essa si richiama fortemente alla realtà dell'universo visuale contemporaneo con la sua inarrestabile produzione immaginale, ma tuttavia carente di elementi estetici qualificanti. Proprio questa condizione di carenza estetica costituisce del resto uno dei punti di forza della teoria dell'arte cinetica, che tende ad esemplare nel rapporto percettivo con l'ambiente dell'opera un modello di confronto valido anche per ogni rapporto con la visualità tecnologica.

Con lo Spazialismo e più ancora con l'Arte Cinetica, dunque, siamo di fronte ad un' attitudine nuova dell'arte nei confronti del mondo della tecnologia, un attitudine che potremmo definire "mediale": strumenti ed innovazioni vengono utilizzare quali mezzi tecnico-esecutivi dell'opera, diventandone tuttavia le condizioni necessarie di sussistenza, giacchè la loro meccanicità coincide con la loro stessa operatività. Di conseguenza tutta la grammatica della creazione artistica viene ad essere profondamente modificata, andando ad identificarsi con qualcosa che solo in parte può essere definito a priori (e comunque solo nei suoi aspetti ideativi-progettuali), ma di cui in più larga parte si scoprono "in atto" qualità e prerogative e quindi su un piano eminentemente sperimentale. E questo è vero tanto per la pittura Optical, quanto le strutture spaziali semoventi, tanto per le sperimentazioni cinetico-visuali che ricorrono a media tecnologici, tanto per quella tipologia di opere che richiedono la presenza fisica ed attiva dello spettatore. Ciò tuttavia non deve far pensare che quella Cinetica sia un'arte empirica, al contrario fra ciò che la caratterizza maggiormente vi è proprio la presenza di una metodologia progettuale che rimanda ad un'impostazione razionalista (a L. Moholy-Nagy e J. Albers, tanto per intenderci) ed in cui confluiscono sia un forte riferimento ai dato percettivo spogliato di ogni componente "culturale", sia un'ambizione al rigore procedimentale che scaturisce dalle premesse scientifico-sperimentali dell'estetica cinetica. Ciò è del resto massimamente evidente proprio nell'Op Art (che sta appunto per Arte Ottica), in cui spesso l'individuazione del metodo operativo e quindi del nucleo visivo dell'opera assume un valore più decisivo rispetto al suo portato estetico 5 (Argan). Ma questo - vale la pena ricordarlo - è un dato critico e non teorico, il che non lo fa rientrare in una del resto improbabile teoria "optical" dell'arte, ma emerge solo ad una valutazione a posteriori dell'opera in sé. Resta tuttavia il fatto che l'Op Art risulta, proprio in questi termini, un tipo di esperienza artistica ascrivibile a quelle concezioni modernistiche che tendono a dissolvere l'attività estetica entro altre forme culturali e quindi ad indicare per l'arte ragioni che afferiscono manifestamente a saperi extra-artistici ed in questa chiave ha da essere letta la sostanziale riduzione fenomenologica ai puri dati percettivi che l'interpretazione dell'opera Optical richiede 6.

È lecito chiedersi, a questo punto, quale sia il senso propriamente artistico di questa sorta di psicologizzazione dell'arte: se l'Optical si pone in effetti come un'arte senza fondamento teoretico proprio, un'arte cioè che volentieri si lasciare condurre per mano dalla psicologia gestaltica 7, è pur vero, come ricordava Argan, che essa fa della "forma" l'oggetto di un peculiare processo compositivo e che questa sua capacità formativa è sempre in movimento, non è mai definita per sempre, andando a dipendere da variabili che stanno al di là dell'opera in sé. L'opera cinetica si presenterebbe insomma come una versione di quella "opera aperta" teorizzata proprio in quegli stessi anni da U. Eco. Ma ciò che fa rimanere la questione comunque in sospeso può essere compendiato nella domanda: può la pura ricerca di effetti percettivi definire una qualità artistica ? Il fatto che tanto l'Arte Cinetica tanto l'Op Art si siano di fatto estinte come pratiche artistiche e che, per converso, le ricerche cinetico-visuali abbiano trovato un loro consistente sbocco della pubblicità e nel design dimostra se non altro la labilità (o l'elasticità) di molti assunti che stanno alla base di quelle esperienze artistiche. Le quali tuttavia rimangono paradigmatiche di una certa confidente attitudine ad impostare il rapporto fra arte e tecnologia, sia per il privilegio accordato al momento programmativo-operativo di chiara ascendenza costruttivista, sia per l'esplicita dipendenza dell'opera da fattori puramente tecnici (che in apparente neutralità paiono assecondare impieghi volutamente creativi), sia infine per il fatto che nella generalità dell' "arte animata" è dato riscontrare quel lato umano e ludico della tecnologia che da tempo l'uomo ricerca anche al fine di superare una concezione intellettualistica e pessimistica della civiltà tecnologica attuale. Vi è infatti una dimensione metaforica nel complesso delle manifestazioni cinetiche ed optical, che agli occhi di oggi sopravvive alle attardate questioni sul suo effettivo quoziente estetico. Nell'idea di un progettare opere il cui funzionamento dipenda dal grado di coinvolgimento e di interazione da parte dell'osservatore non si deve forse riconoscere un'attitudine confidente, serena, sobria - e quindi né apocalittica né integrata - a concepire il rapporto col mondo tecnologico ?



NOTE

1 L. V. Masini, Dizionario del fare arte contemporaneo, Firenze, Sansoni, 1992.

2 U. Boccioni, Manifesto tecnico della scultura futurista, in Scritti editi e inediti, Milano, 1971.

3 R. Barilli, L'arte contemporanea, Milano, Feltrinelli, 1984.

4 U. Eco, Arte Programmata, in La definizione dell'arte, Milano, Garzanti, 1983.

5 G. C. Argan, La ricerca gestaltica e Forma e formazione, in "Il Messaggero", Roma, 24 agosto 1963 e 10 settembre 1963.

6 F. Menna, Arte cinetica e visuale, in L'Arte Moderna, Milano, Fabbri, vol.XIII, 1967.

7 W. Kohler, La psicologia della gestalt, Milano, Feltrinelli.




INTEGRAZIONI BIBLIOGRAFICHE

Spazialismo

    F. Alinovi, La crisi dell'opera ed il progetto di superamento dell'arte, in AA.VV., L'arte in Italia nel secondo dopoguerra, Bologna, Il Mulino, 1979.

    E. Crispolti - W. Schonenberg, Fontana e lo Spazialismo, Lugano, 1987.

    G.Giani, Spazialismo, Milano, 1957.


Arte Cinetica, Programmata, Op Art

    R. Arnheim, Arte e percezione visiva, Milano, Feltrinelli, 1962.

    C. Barrett, Op Art, London, 1970.

    U. Eco, Opera aperta, Milano, Bompiani, 1962.

    G. Kepes, Il linguaggio della visione, Bari, Dedalo, 1971.

    F. Popper, Arte Cinetica, Torino, Einaudi, 1970.

    P. Serra Zanetti, Ricerche ottico-visive e arte cinetico-programmata, in AA.VV. L'arte in Italia nel secondo dopoguerra, Il Mulino, Bologna, 1979.

 


 
 

Risali





BTA copyright MECENATI Mail to www@bta.it