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La Satira nell'Arte: James Ensor  
Angela Pecoraro
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 10 maggio 2001, n. 264
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Area Artisti

L'improvvisa industrializzazione del Belgio, nella seconda metà dell'Ottocento, accentuò il divario tra gli interessi economici della nascente borghesia imprenditoriale e le rivendicazioni sociali della classe operaia. Gli attriti che ne scaturirono alimentarono il filone del dibattito politico nel quale furono coinvolti anche artisti e letterati. Gli strumenti posseduti, però, si dimostrarono spesso inefficaci al sostegno della lotta di classe poiché la maggior parte delle manifestazioni artistiche risultava ingabbiata in un sistema di regole accademiche che ne ostacolava l'incorruttibilità evolutiva.

La ricerca di un'emancipazione espressiva divenne la costante fondamentale di molti artisti ed essa si percepisce ancor oggi nelle opere di James Ensor (Ostenda 1860-1949).

Diplomatosi presso l'Accademia di Belle Arti di Bruxelles, anche al giovane Ensor riuscì difficile sottrarsi all'influenza dei precetti dogmatici. La sua forza creatrice, foriera di tendenze e movimenti culturali lo condusse, appena ventenne, ad iniziare a percorrere la strada della libertà attingendo ad un'arte di forte impatto sociale: la pittura realista. Sulla scia del debutto dei pittori realisti all'Esposizione di Parigi nel 1855, presentò al Salone de La Chrysalide Il Lampista (1881). Un bambino nelle vesti di un operaio svela il dramma di un'epoca e del sistema socio-economico belga che, essenzialmente basato sullo sfruttamento immorale ed illecito dei minori in fabbriche e miniere, avvantaggiava prioritariamente gli interessi della borghesia industriale. Essa divenne il soggetto preferito da Ensor nel suo periodo bourgeois. I soggetti ritratti sono intenti a svolgere una serie di azioni pressoché prive di qualsiasi potenzialità produttiva in favore della collettività. La colorista (1880) dipinge, ne La musica russa (1881) una donna suona il pianoforte. Sono gesti funzionali solo ai circoscritti sistemi architettonici in cui sono collocati. La tavolozza cromatica s'incupisce con toni bruni ed ambrati, come scuri e felpati sono i saloni borghesi di fine Ottocento. In questi interni la luce solare filtra con moderazione ed è resa dal pittore con brevi tocchi chiari e leggere velature. Il tutto riproduce un riverbero simile a quello ottenuto dagli impressionisti francesi negli studi pittorici all'aria aperta.

Ensor sembrò recepire appieno la lezione proveniente dalla vicina Francia. Alcuni anni prima, infatti, Charles Baudelaire aveva pubblicato il saggio De l'essence du rire et généralement du comique dans les arts plastiques (1855). Il trattato affrontava il problema dell'uso della maschera quale strumento che riconduce l'uomo alla sua infanzia attraverso la temporaneità di un travestimento. La maschera divenne, da allora, metafora dei falsi miti della borghesia. La sua moralità, il suo lavoro, insomma, tutto era illusorio nella logica borghese.

Il ritratto di Signora in blu (1881) rivela, però, una novità che condizionerà fortemente il futuro artistico di Ensor. In questo dipinto una donna è intenta a ricamare. Tutto sembra all'apparenza normale e scontato. In realtà la stoffa rossa in mano alla ricamatrice, riflessa sul tappeto sottostante, quasi quest'ultimo fosse uno specchio, rivela l'innaturalità della raffigurazione. Improvvisamente il reale diventa virtuale sovvertendo l'ordine precostituito. Ciò che sembra tangibile non lo è. In conclusione, anche la rappresentazione realistica nell'arte produce una realtà simulata.

A tal punto era necessario trovare altri strumenti in grado di garantire una continuità d'impegno sul piano sociale. Nasce in questo clima di ricerca e sperimentazione il dipinto Le maschere scandalizzate (1883). È un'opera di rottura che, a suo modo, si ricongiunge con il passato. L'assordante silenzio delle figure dei saloni borghesi, ammutolite da supposti monologhi interiori, si ritrova anche in quest'opera ove, in una stanza buia, illuminata dai gialli bagliori intermittenti di una lampada ad olio, un uomo travestito siede ad un tavolo e volge lo sguardo verso la figura mascherata che sosta sulla porta semiaperta. Sembra di assistere ad una pantomima, cioè ad una rappresentazione scenica in cui la maschera dalla bocca chiusa - tipica della tradizione drammaturgica greca - preclude agli attori qualsiasi possibilità di linguaggio verbale imponendo loro di esprimersi unicamente attraverso i gesti e la danza. Nella bidimensionalità del dipinto le movenze ed il ballo sono sostituiti dai tratti cromatici e dalla pennellata pesante che diventano testimonianza di un gesto unico ed irripetibile. L'esperienza teatrale si concretò, pochi anni più tardi, con la realizzazione del balletto La Gamme d'Amour per il quale Ensor dipinse scene e costumi. Poco dopo il teatro europeo avrebbe riabilitato la maschera, quale strumento in grado di stimolare nell'attore una maggiore libertà d'espressione gestuale e corporea, favorendo, così, una recitazione antinaturalistica e surreale. Tuttavia, nell'ambito delle teorie surrealiste, Ensor conquistò uno spazio del tutto personale riguardo al concetto di comicità. I surrealisti preferivano parlare di "humor", cioè di un tipo di comicità alta e suprema in grado di attingere all'inconscio ed al fondo dell'universo. Rigettavano spocchiosamente verso il basso il riso triviale e boccaccesco tipico della tradizione carnevalesca (André Breton, Anthologie de l'humour noir, 1939). Al contrario Ensor, percependo gli stretti rapporti esistenti fra il carnevale ed i valori popolari, decise di utilizzare nelle sue opere proprio l'elemento burlesco. L'intuizione si rivelerà felicemente coincidente, alcuni anni più tardi, con il pensiero di Michail Bachtin che individuerà nella comicità popolare un'essenza tipicamente carnascialesca. In quel sistema di immagini festose il popolo è collocato in un rapporto attivo con il mondo del lavoro. In origine, infatti, il carnevale era un'antitesi dei riti e delle feste serie e religiose durante il quale il riso coadiuvava il rovesciamento dei valori e dei ruoli: i servi diventavano padroni e viceversa (M. Bachtin, L'oevre de François Rabelais et la culture populaire au Moyen Age et sous la Reinassance, 1965). Allo stesso modo Ensor aveva ribaltato la quotidianità trovando una risposta espressiva nel concetto di "capovolgimento". Se la realtà non poteva essere resa nella sua essenza attraverso una pittura definita "realista", allora, paradossalmente, solo una pittura lontana dalla realtà poteva attingere al vero. A conferma di ciò alcuni anni dopo dirà a proposito del dipinto Scheletri che si contendono un'aringa affumicata (1891): « Il mio vero gioco eccolo qua ! È la rivelazione dell'impiego inatteso e sovente crudele di oggetti inoffensivi e quotidiani ».

Ensor anticipò ed espresse in forma pittorica il concetto di ribaltamento della realtà presente anche in letteratura con il saggio Le rire (1889) di Henri Bergson. « Le attitudini, i gesti e i movimenti del corpo umano sono ridicoli nella misura esatta in cui questo corpo ci fa pensare ad un semplice meccanismo », scriverà il filosofo francese a proposito della definizione di comicità. Il comico si esprime nelle forme, nei gesti e nei movimenti attraverso un'involontaria rigidità meccanica che inverte la naturalezza della gestualità quotidiana. Ne fa fede la meccanicità marionettistica dei personaggi di Ensor nel dipinto Le maschere bizzarre (1892).

Il tema delle maschere e dei burattini ricorrerà in forme sempre più frequenti e quasi ossessive nell'attività artistica ensoriana già a partire dal 1883 con il già citato dipinto Le Maschere scandalizzate. Nel frattempo le sue tele cominceranno a popolarsi inesorabilmente di bizzarre figure fino a raggiungere l'apoteosi del sovraffollamento in quello che è considerato il suo capolavoro: L'Entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889 (datato 1888). Cristo entra nella capitale circondato da una moltitudine umana travestita e mascherata. Sembra quasi di assistere ad un'istantanea delle celebrazioni del carnevale del Topo morto di Ostenda. In un clima di dissimulata sacralità Gesù, con la sua umile presenza, offre agli uomini la redenzione. Alcuni astanti gli voltano le spalle altri ridono, ma quella che sembra una semplice e banale risata si arricchisce di una superiore valenza spirituale poiché, come tutto ciò che appartiene all'uomo ha un'origine ed una fine, anche il riso ha come sua estrema tappa la morte. Ad essa il riso è beffardamente ed inscindibilmente legato anche attraverso modi di dire, ad esempio: "Morire dal ridere". Unitamente al riso, il motivo della maschera assume un valore ambivalente perché il suo uso permette, attraverso il travestimento, di modificare ciò che dietro vi si nasconde. Entrambi - maschera e risata - sono strumenti che illudono l'uomo sulla possibilità di un superamento collettivo della morte. Il riso acquista il valore della forza sociale e proprio quelle strane figure che sembrano il frutto di allucinate visioni attingono, invece, ad una realtà sovrannaturale.

La figura di Cristo, sovente rappresentata, coincide con quella del pittore stesso anche quando in essa è presente un forte slancio sarcastico come nel dipinto Ecce Homo o le Christ et les critiques (1891). Ensor, nelle vesti di Cristo, si arrende con una corda al collo ai suoi più irriducibili detrattori, i critici Edouard Fétis e Max Sulzberger.

Il riso, anche quello più amaro della satira, è lo strumento privilegiato dall'artista in quanto espressione comunicativa di stampo cosmopolita. Ciò gli consente di aprirsi verso l'altro, verso la collettività. Nella moltitudine delle facce mascherate si rivela l'intera umanità con le sue debolezze e i suoi tormenti. È in quei volti che Ensor ricerca l'alta e suprema verità comprendendo ben presto che le tribolazioni della propria esperienza vitale coincidono con le sofferenze universali e cristiane.

Si svela finalmente l'arcano. Per i presupposti tipicamente popolari e di capovolgimento dei valori sociali, etici e religiosi, la sovversiva cultura carnevalesca ensoriana non poteva che costituire un pericoloso nemico della razionalità borghese mordacemente rappresentata nelle prime opere di Ensor in contesti di oziosa e circoscritta quotidianità.




 
 

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