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Adolf Loos postmoderno: indicazioni per una rilettura  
Andrea Bonavoglia
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 9 agosto 2000, n. 215
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Area Architettura

« ... E sulla soglia del XIX secolo c'era Schinkel. Lo abbiamo dimenticato. Possa la luce di questa straordinaria figura illuminare la nostra futura generazione di architetti".»

Potremmo oggi sostituire, in questa frase di Adolf Loos, al XIX secolo il XX e al nome di Schinkel quello dello stesso Loos? Abbiamo dimenticato o no la luce di questa figura straordinaria di artista nato a Brno, ma viennese di adozione, austro-ungarico di cultura, ma appassionato propugnatore della civiltà occidentale?

Non lo abbiamo dimenticato. Certamente non gli italiani, che periodicamente, creatori o critici d'arte che siano, dedicano saggi, o citazioni, o opere, alla memoria di Loos. E che ne ricordano il motto geniale Ornamento e delitto con sorprendente frequenza, ... valga come caso recente una mostra sul Design organizzata nel Chiostro del Bramante a Roma.

Ma che cos'è l'ornamento ? Loos parte dalle isole dei selvaggi per spiegarcelo e buon per lui che non abbia dovuto assistere alla moda attuale del piercing e dei tatuaggi sparsi ovunque. Ornamento è in effetti sinonimo di spreco, di qualcosa che non serve, è concetto etico e non artistico e con questa convinzione Loos cerca in ogni situazione quell'eleganza assoluta che ha in testa. Non a caso uno dei suoi termini di paragone è la moda, al punto che oggi si potrebbe essere sicuri di trovarlo tra i maggiori estimatori di Armani, non certo di Versace.

E quella fatale degenerazione cui egli credette di assistere nella sua Austria, decadente rispetto alla baldanza anglosassone, ha finito per prendere il sopravvento ovunque nel mondo occidentale ? Il cattivo gusto ha trionfato ? Nonostante le apparenze, forse Loos si sbagliava; il cattivo gusto non ha trionfato e dopo l'austerità del moderno l'avventura postmoderna di incerto avvio, sta senza dubbio imponendosi come lo stile imperante tanto del XIX secolo agli sgoccioli quanto del nuovo secolo, che inizia nel 2001, il XX. Il postmoderno è un tipico stile intermedio, spesso e volentieri dileggiato come fu dileggiato il Manierismo, ma, come quello, potrebbe essere destinato a lasciare segni indelebili.

Alla base resta l'idea di decorazione. Per Loos, non si tratta di eliminarla, ma di eliminare ciò che nella decorazione è superfluo. In questa chiave, la colonna e il capitello sono strutturali e possiedono una forma che è ormai entrata a far parte della memoria storica occidentale. Osservando le colonne nella facciata della casa sulla Michaelerplatz a Vienna, proprio quella che fu osteggiata per la sua scandalosa assenza di abbellimenti, si vedrà quanto ciò sia vero: le colonne sono tuscaniche, di un marmo verde di estrema politezza, e appaiono semplici, eleganti, addirittura preziose. Se Loos avesse voluto distruggere ogni abbellimento, avrebbe costruito un ingresso nudo, squadrato, senza colore. La sua idea invece è di distruggere ogni dato superfluo, avendo stabilito a priori evidentemente ciò che è necessario: la colonna è necessaria, il capitello è necessario, il basamento in marmo dell'edificio è necessario, superflui sono gli ornamenti ionici o corinzi, superflui sono i timpani, le gocce, i baccelli, i fregi. Ogni sua opera dovrebbe essere vista in questa luce della necessità, non dimenticandosi poi del luogo in cui viene costruita. Una potente chiave simbolica vive nel progetto per il Chicago Tribune: l'infinita colonna greca che avrebbe dovuto levarsi nei cieli d'America segna il trionfo di questa nuova civiltà nel nome di quella antica.

Non lo abbiamo dimenticato. Certamente non i suoi compatrioti boemi e non i popoli di lingua tedesca, che continuano ad assegnargli un ruolo preminente nel cosiddetto periodo proto-razionalista e continuano ad analizzare con metodo e precisione la genesi delle sue opere principali.

É indubbio infatti che egli abbia lasciato un'eredità profonda soprattutto nella cultura mitteleuropea, della quale fu interprete straordinario ma anche critico feroce, e in quella italiana, che ha riconosciuto in lui un modello esemplare, il classicista e il poeta, il « muratore che ha studiato il latino ».

Forse lo hanno un poco dimenticato, invece, proprio i rappresentanti della civiltà che Loos invidiava e amava e alla cui introduzione in Austria dedicò parte della sua vita, vale a dire gli americani, i francesi, gli inglesi, gli "occidentali" ... Eppure, se l'invenzione artistica del postmoderno ha matrice americana, e se in quella matrice, pur inconsapevolmente, la citazione loosiana è pregnante, fertile e forse indispensabile, allora neppure gli americani lo hanno davvero dimenticato.

Non lo abbiamo dimenticato, ma non lo abbiamo mai capito fino in fondo. O meglio, sembra che di Adolf Loos sia stato e sia possibile dire tutto e suffragare quel tutto con qualsivoglia citazione, letteraria o concreta, estratta dall'ampio repertorio dei suoi scritti o da quello, meno ampio e forse meno conosciuto, delle sue opere e dei suoi disegni.

Così Loos è diventato ora il precursore di Le Corbusier, ora quello di Hollein, ora l'erede di Semper, ora quello di Borromini. L'anti-decorativista per eccellenza, se Ornamento e Delitto appunto continua ad essere il suo testo più celebre, e il primo razionalista, se il Raumplan resta la sua idea progettuale più nota; ma poi anche l'ultimo dei classici, il primo dei moderni, il grande artigiano, l'acuto polemista, in un crescendo di ovvietà che finiscono per dire tutto per non dire nulla.

É la conseguenza del tentativo di costruire e definire una sintesi, una parola magica, una chiave, che possa descrivere Loos: un'autentica sfida per molti studiosi, anche quando ammettono la complessità e le contraddizioni del personaggio.

E allora abbiamo dimenticato Loos, se ci limitiamo a vederlo come l'uomo della pulizia omerica, l'uomo delle parole aspre, sarcastiche e memorabili, l'uomo della casa Steiner prima casa moderna. Lo ricorderemo invece, e lo capiremo, e lo leggeremo, solo e soltanto se riusciremo a entrare nel suo mondo, nelle sue idee radicate e ossessive, nella sua vis polemica da caffè, ma anche da albergo Excelsior. E soprattutto, lo ricorderemo se sapremo uscire dalla claustrofobica visione di un'architettura che nasce soltanto da se stessa e che genera soltanto se stessa, che bada ora alla forma e meno al contenuto, più alla funzione e meno allo stile, alla decorazione o alla struttura, compresi tutti i viceversa possibili.

L'attualità di Loos deve infatti garantirgli il posto che gli spetta nella storia dell'arte, soprattutto quando, da architetto, egli esclude l'architettura (che non sia quella delle tombe) dal numero delle arti maggiori. Il paradosso non sta nell'affermazione, ma nelle sue interpretazioni. Chi ha letto in quelle parole il senso di un'abdicazione, ha dimostrato di non averle lette dove esse sono scritte, cioè nel contesto dell'attività giornalistica di Loos. L'architettura come mestiere è oggi uno slogan dei più grandi architetti. L'architettura come progettazione, svincolata dal concetto del genio artistico creatore, è ormai concetto usuale e corrente. E il rapporto dell'architetto con gli altri intellettuali viene dato per scontato.

Nella lunga storia delle letture critiche e delle interpretazioni di Loos, i nomi degli altri Grandi Viennesi spuntano con frequenza, con inevitabile e quasi prevedibile continuità, Kraus innanzitutto, e poi Wittgenstein, Schoenberg, Freud, Kokoschka, Trakl, Musil. Le citazioni d'obbligo, relative ai rapporti tra i vari personaggi e ai corrispondenti scambi di idee, forniscono gli elementi per capire la stima o la conoscenza reciproca, ma non altro; di certo non costituiscono uno strumento efficace per entrare nella Grande Vienna passando dalla porta principale ed evitando di mettere l'orecchio sopra quella di servizio. Il vaso da notte e l'urna di Kraus possono ancora divertirci, ma in realtà non servono che a quello, perché la vera essenza del rapporto tra il giornalista più odiato e più temuto di Vienna e l'architetto più polemico, non può essere descritta né in quattro né in cento parole. E suggerire, come spesso risulta implicito al termine delle citazioni, che in fondo Loos ragionava più per intuito ed istinto che per riflessione culturale, trasformandolo quindi in una sorta di Bertoldo alla corte dei grandi pensatori, è non solo troppo fuorviante, ma anche troppo comodo.

In realtà, appare evidente a chiunque si immerga seriamente nello studio della Grande Vienna, che Adolf Loos deve essere collocato allo stesso livello degli altri Grandi Viennesi, che la sua opera nasce da presupposti di estrema chiarezza ma anche di notevole complessità, e che la sua importanza storica consiste nell'essere stato l'interprete di un'epoca, nell'aver capito il suo tempo, e nell'aver anticipato una definizione più ampia del concetto di Architettura.

Il muratore che ha studiato il latino è artigiano e intellettuale, è uomo di mestiere e cultura; l'Architettura è Progetto Realizzato, ma non tanto nel troppo limitativo senso del disegno che diventa cosa, quanto piuttosto nel significato esteso di costruire un'idea.

Il coraggio allora di riscrivere la storia dell'architettura del Novecento ponendo alla sua soglia e alla sua radice questa straordinaria figura potrebbe riservarci sorprese non da poco. Il grattacielo di Philip Johnson, un tempo AT&T e oggi Sony Plaza, nel cuore di Manhattan, non lascerebbe più a bocca aperta, come un tempo all'esposizione di Chicago, l'architetto austriaco abituato alle decorazioni leziose della Vienna asburgica. Oggi Adolf Loos guardandolo potrebbe dire: anche questa è opera mia.






Bibliografia minima:

  • Adolf Loos, Parole nel vuoto, Adelphi Milano

  • Burkhardt Rukschcio e Roland Schachel, Adolf Loos, Residenz Verlag Salzburg und Wien

  • AA.VV., Adolf Loos La cultura del progetto, Officina Edizioni Roma

  • Robert Trevisiol, Adolf Loos, Laterza Bari-Roma




 
 

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