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Un "uomo del Rinascimento" alla Gallery Westland Place London,
Gallery Westland Place
Irene Amore
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 19 luglio 2000, n. 209
http://www.bta.it/txt/a0/02/bta00209.html
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Area Musei

«Volevo proprio andare a questa vernice. Sono vecchio abbastanza per ricordare Michael Heseltine e Sophie Rickett agli inizi, buffo vecchio mondo eh, e sentivo la necessità di assorbire un po' di arte "come una spugna". Queste mostre in cafe-gallerie, tipo tardi anni '80, possono distruggere quegli artisti dalla pelle meno tosta di Peter Doig. Mi sono tutto messo in tiro e ho detto a Maggie: Dai, bella, meriti una serata fuori. Metti su un po' di rossetto e andiamo - Oh, e non dimenticare Jack!" Ad ogni modo, quando arriviamo li' è tutto pieno e non c'è un angolo dove parcheggiare e ci sono un sacco di giovani studentesse giapponesi (che appartengono a John Stezaker) - e gli studenti giapponesi non sono particolarmente famosi per acutezza d'ingegno. Ma percependo un che del tipo Blake Edwards (regista de 'La Pantera Rosa', ndt), ce ne andiamo da Sainsbury (grandi magazzini, ndt) dove mi leggo "Dazed and Confused" (rivista di varia attualità culturale, ndt) mentre lei fa la spesa. Anzi veramente sono io a fare la spesa.»

Matthew Arnatt, "100 Reviews", Black Dog Publishing Limited 1999 (realizzato in collaborazione con greengrassi, Londra, 10-16 Settembre 1999).

In una gelida mattina di sole mi addentro in questo quartiere dal carattere fortemente metropolitano, colossali grattacielanti costruzioni in vetro, e vecchi palazzetti in mattoni scuriti dal tempo e dall'inquinamento: rossiccio, grigio e blu azzurrognolo sono i colori dominanti. È sabato e praticamente non c'è un cane in giro. Old Street di sabato è un po' come una città fantasma, una terra di nessuno ai margini della City. Soprattutto questo angolo di Old Street ha un triste e nudo aspetto pre-industriale, se non fosse per il pub moderno dalle grandi vetrate affacciate sulla strada, affollato di giovani ma non troppo intenti a consumare il loro brunch.

Sono già stata alla galleria Westland Place a curiosare in occasione della mostra inaugurale "River Deep Mountain High". Devo ammettere che, anche dopo aver letto l'ironica recensione di Matthew Arnatt (che è poi un artista e che ce la mette tutta a stendere un'ombra piuttosto buia su questo spazio appena aperto) questa galleria ancora mi piace: non solo per l'atmosfera accogliente e familiare, per l'eleganza e l'ariosità dello spazio, la presenza di una buona luce naturale accanto a quella artificiale, ma anche e soprattutto per l' ampiezza di vedute e l'entusiasmo del suo direttore, Michael Chanarin. Che mi sto preparando ad incontrare.

La galleria si sviluppa su due piani, con un' ampia scalinata che conduce dal pian terreno al piano sottostante, dando respiro in senso verticale all'intero spazio. Se al pian terreno domina la luce naturale grazie ad un grande lucernario che offre una urbanissima veduta sulle costruzioni industriali della zona, il piano sotterraneo, illuminato prevalentemente dalla luce artificiale, offre un interessante angolo "buio", adatto soprattutto alla visione di video. Un bar con grandi tavolini al pian terreno consente di sedersi, bere una tazza di caffè, leggersi un libro, conversare, riposarsi e magari pensare.

Dunque da dove l'idea che ha condotto alla nascita di questa galleria ? Michael Chanarin ha alle spalle una carriera professionale straordinariamente "eclettica". Con un passato di imprenditore in una serie di attività che mi sventaglia con estrema modestia (programmatore IBM, supporto tecnico per sistemi bancari informativi, consulente finanziario, distributore di equipaggiamenti per il catering - una straordinaria Gaggia giganteggia dietro il bancone del bar - ingegnere di servizi, costruttore ...), da sempre appassionato cultore di fotografia, Chanarin ha frequentato otto anni fa un corso di pittura alla Manchester University ed ha poi portato a termine un Master in Critica e Teoria dell'Arte alla Canterbury University. A questo punto della sua esperienza, gli piace definirsi una sorta di "uomo rinascimentale", e questo appellativo, a parte l'ironia del paragone, sembra calzargli particolarmente bene: soprattutto i piu' recenti studi a carattere umanistico completano la sua già vasta conoscenza ed esperienza in un interessante a tutto tondo. Così per associazione mi viene in mente il modello mediceo (argomento della maestosa mostra Renaissance Florence in the 1470s alla National Gallery dal 20 Ottobre 1999 al 16 Gennaio 2000), che credo sia modello ritentato (con tutte le dovute cautele storiche) dalla polica culturale laburista in questi anni.

Dopo la Canterbury University, Chanarin ha trascorso un anno di "ritiro spirituale" scrivendo, fotografando e dipingendo; ma anche e soprattutto tentando di immaginare il modo in cui poter coltivare meglio questi suoi interessi, dedicarvisi a tempo pieno e farne una "professione". Ovvio il passo successivo: aprire una galleria.

Ciò che a Michael Chanarin piace dell'arte è la sua "inutilità" combinata con il suo essere luogo neutrale e pacifico di discussione di punti di vista diversi, la sua capacità di intromettersi, divertire e al tempo stesso porre importanti quesiti. Poichè mi ribadisce questa sua attenzione per l'aspetto ludico e diversivo dell'arte, divento scettica e chiedo: dove allora la fatica non solo emozionale (finchè conta) ma soprattutto finanziaria e genericamente pratica del produrre arte ? Da esperto navigatore in acque cattive, da tipico imprenditore che affronta i rischi del mestiere senza lasciarsene avvilire, Michael mi risponde per le rime: in fondo la bellezza maledetta del mestiere sta in questo mettersi costantemente in discussione, sta negli ostacoli che si incontrano, nel superarli e nell'apprendere che ne deriva.

Il processo di acquisizione e ridecorazione della galleria è stato sin dall'inizio un' impresa difficile. Questo spazio adesso così "pulito" e luminoso era, quando è stato per la prima volta individuato da Michael, un' autentica rovina. In stato di totale abbandono da dodici anni, ospitava al primo piano una galleria fotografica che adesso non esiste più e presentava problemi di ogni genere, dall'impianto di riscaldamento a quello idraulico e così via. I lavori di ristrutturazione dell'intero edificio non sono stati facili, nè risolvibili in tempi brevi.

Inoltre, mentre veniva definito e sistemato lo spazio fisico della galleria, Michael Chanarin cominciava a chiedersi cosa questa galleria avrebbe dovuto essere e cosa avrebbe dovuto offrire. Dopo una breve esperienza come collaboratore presso una galleria commerciale del West End, Chanarin poteva essere sicuro di una cosa: la sua galleria non sarebbe mai dovuta diventare uno strumento accessorio della sua attività, trattenuta in vita solo per quell'ora o due del vernissage. La sua galleria doveva essere intesa piuttosto come il centro focale delle sue iniziative, luogo dove tutto avviene e tutto si discute. Le ragioni prime di questo spazio non sono dunque quelle del classico "white cube", nonostante le apparenze. Quello che Chanarin ha in mente è piuttosto il modello dell'"arts centre", di uno spazio di conversazione, di ascolto e discussione, di comunicazione attraverso l'arte, "cathalist for conversation" come spiega egli stesso. A questo scopo Michael ha, tra i suoi obiettivi, di tenere aperta la galleria dalle dieci di mattina alle dieci di sera e di proporre un programma serrato di mostre - una ogni due o tre settimane - con un continuo ricambio di idee e di forme.

I gusti di Michael sono orientati verso il concettuale ed il suo interesse va soprattutto agli artisti giovani e ancora poco conosciuti. Mi spiega che gli artisti già acclamati non hanno più bisogno di gallerie per promuovere i loro lavori: le aste su internet lo dimostrano chiaramente, e così pure le retrospettive nei maggiori musei e spazi pubblici. Il motivo reale di sopravvivenza delle gallerie oggi sta piuttosto nell'urgenza di offrire visibilità e di promuovere sia i giovani che hanno già una certa esperienza ma non hanno ancora definito la loro presenza sul mercato, sia quegli artisti che rimangono ancora del tutto sconosciuti. La galleria Westland Place dunque vorrebbe essere uno spazio per queste due categorie di artisti, un palcoscenico in cui l'artista tenta di aprire e sviluppare il suo dialogo col pubblico.

Seguendo una linea aperta alle varie tendenze locali e internazionali, nonostante le sempre stringenti necessità finanziarie, Michael non intende escludere i lavori meno "vendibili" (installazioni e video, per esempio) e soprattutto le proposte più alternative, il che poi in fondo non sorprende visto che sono state proprio queste a generare un interesse internazionale per la produzione artistica inglese. Tra le mostre future, Michael ha in programma una mostra fotografica, alla quale sta lavorando insieme a Cristina Fedi: uno studio sulla sottile linea di demarcazione tra fotografia-documento e fotografia d'arte.
Una domanda che sorge ovvia in questo contesto riguarda il modo in cui si colloca la Westland Place Gallery nella zona di Old Street.

Questo quartiere fu già preso di mira verso la fine degli anni '60 dalla comunità degli artisti, che, spinti fuori dai docks, fissarono qui, grazie agli affitti particolarmente bassi, i loro nuovi studi e i loro spazi espositivi. Da allora e soprattutto con l'ascesa degli Young British Artists negli anni '80, la zona di Old Street è considerata "il barometro più accurato dell'arte contemporanea" (Martin Coomer), la zona dove grandi spazi in abbandono vengono trasformati in sale espositive temporanee e dove si è costituito e sviluppato un denso network culturale. "Il successo della zona ha contribuito a rendere gli affitti proibitivi, anche se in qualche modo si continuano ad aprire nuovi spazi". (Martin Coomer) Così Old Street e Hoxton Square sono diventati il regno dell'"ultra-cool" e degli studi di rampanti interior e graphic designers (esempio lampante, il blocco conosciuto come The Factory con i suoi Manhattan lofts).

Contigui a questi, ma non necessariamente assimilabili, rimangono gli spazi espositivi gestiti da artisti. A pochi metri dalla Westland Place Gallery, 30 Underwood Street, con le sue strette e buie scale che conducono in un seminterrato non particolarmente "rifinito", ha una storia densa che include l'artista di Fluxus Tatsumi Orimoto, Hermann Nitsch, ed un vasto interesse per i mixed media. Accanto alla 30 Underwood Street, la ex-galleria Poo-Poo, occupata dal 1995 al gennaio 1999 dagli iconoclasti per eccellenza di BANK, ora Mellow Birds. Spazi questi come molti altri dove il brutto e il sensazionale vengono propositivamente e polemicamente messi in mostra, con il cipiglio irriverente e scapigliato degli artisti che negli anni duri della recessione si sono da soli costruiti una reputazione e una confidenza della quale vanno adesso troppo, ma giustamente, orgogliosi.

In questo contesto, con la galleria Westland Michael Chanarin mira a proporre, mi pare di capire, mostre di "diversa e migliore qualità", almeno nella presentazione: qualcosa di meno "brutto" e decisamente meno aggressivo e polemico. La vena competitiva dell'imprenditore non è scomparsa, mitigata dall'idea già citata della galleria come "cathalist for communication" che vorrebbe valere perciò anche nel rapporto con gli altri spazi, studi e gallerie di Old Street e Hoxton Square.

Un'ultima domanda, ovvia e ormai neanche spinosa: che ne pensa Michael Chanarin della stampa ?

Chanarin predilige uno specifico formato, quello delle "listings" cioè delle brevi sinossi che ritiene destinato a svilupparsi perchè particolarmente utile ai più diversi settori di pubblico. Il resto, fatto di articoli a commento più o meno negativo sulle mostre, e' cio' che poi ha contribuito, soprattutto negli anni '80, in Inghilterra, a promuovere, far apprezzare e/o odiare il mondo artistico giovanile. Non potendo negarne il potere, Chanarin ne può certo affermare il piacere della compagnia o il disturbo dell'ostilità. La coniugazione di aspetti diversi del gestire beni artistici comtemporanei sembra dunque essere la formula adottata da Michael Chanarin. Aperta a revisioni e modifiche, la formula è pronta per l'esperimento. La mostra che Michael Chanarin ha scelto per l'apertura della galleria rivela già l'intenzione sottile di presentare argomenti anche complessi, radicati nella tradizione artistica e nella sensibilità culturale del nostro tempo, ad un pubblico non necessariamente interessato a sorbirsi densi e irritati intellettualismi ma nemmeno interessato al banale e al puramente decorativo. "River Deep High Mountain" (dal 3 Settembre al 1 Ottobre 1999) è stata una rilettura del paesaggismo in chiave contemporanea. Adottando le forme del dipinto su tela, del film e della fotografia, la mostra ha voluto affrontare la nozione del sublime ed il suo passaggio in arte dalla narrativa di tipo biblico ad uno spazio "altro" da quello urbano in cui molti di noi vivono. Attualmente e fino al 21 Novembre 1999, la galleria ospita una personale dell'artista tedesco Eric Peters.

Tra la data dell'intervista ed adesso, la galleria ha ospitato numerose altre mostre, tra le quali, interessanti per la loro concezione: Confederacy of Pleasures, performances ed interventi curati da Jo Bennett e Denis Glaser, dal 3 Dicembre 1999 al 8 Gennaio 2000 Is there anyone home. Images of absence and imminence, mostra fotografica curata dallo scrittore Roy Exley, dal 19 Maggio al 24 Giugno 2000




Gallery Westland Place
13 Westland Place
London N1 7LP
Tel: +44 (0)207 251 6456
Fax: +44 (0)207 251 9339
E-mail: gallery@westlandplace.co.uk


BIBLIOGRAFIA
"Art London", by Martin Coomer, Ellipsis London Limited, 1999

 
 

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