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GRAND TOUR
Il fascino dell'Italia nel XVIII secolo
Roma, Palazzo delle Esposizioni
6 febbraio - 7 aprile 1997
Francesca Romana Orlando
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 11 luglio 2000, n. 138 (24 febbraio 1997)
http://www.bta.it/txt/a0/01/bta00138.html
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Dalla fine del '600 l'Italia diventa meta di viaggi di intellettuali provenienti da tutta l'Europa, soprattutto dall'Inghilterra. La dizione "Grand Tour" è adottata per la prima volta, in trascrizione francese, nel libro di Richard Lassels, "Voyage or a compleat journey trough Italy" (1670).

Al centro di questi pellegrinaggi è la riscoperta dell'Antico. Nuovi scavi archeologici vengono avviati grazie a diversi mutamenti di carattere politico. Con la fine della Guerra dei Sette Anni nel 1763 infatti, agli Inglesi viene dato il permesso di effettuare nuovi scavi e, nonostante i controlli severissimi, sono molte le statue che arrivano in Inghilterra per vie più o meno legali e sono raccolte soprattutto a e Newby

Contemporaneamente, in Italia, vengono ampliati i musei esistenti, vengono inaugurati nel 1734 i Musei Capitolini e vengono acquisite numerose opere per il Museo in Vaticano dove, nel 1771 si riallestiva la Galleria delle Statue Antiche, una delle mete preferite. Nel 1796 la campagna d'Italia di Napoleone Bonaparte chiude l'età d'oro dei viaggi in Italia che continueranno tuttavia per tutto l'Ottocento.

Il Grand Tour rappresenta nel seicento un lusso riservato a principi tedeschi, polacchi, russi, ungheresi, ad aristocratici inglesi o svedesi ma diventa presto una vera e propria istituzione nell'educazione dei giovani rampolli di tutta Europa. La stessa connotazione sociale dei viaggiatori si allarga dall'aristocrazia alle classi borghesi, soprattutto durante il settecento. Lo stesso viaggio non è più' un evento autocelebrativo ma rappresenta un momento di accrescimento intellettuale. Si pensi, ad esempio al vescovo di Bamberg che giunge in Italia con un seguito di centotrenta persone a cui se ne aggiungono altre cinquanta nel corso del viaggio. Nel 1714, Lord Burlinghton ha un seguito di sole quindici persone.

Anche la geografia del GRAND TOUR si modifica nel corso del settecento. All'inizio si prediligono città come Roma (la cui area archeologica si estende fino a Tivoli, Frascati, Albano e Nemi), Firenze e Venezia che si raggiungono o per via mare, sbarcando nei porti di Civitavecchia, Marsiglia, Nizza o Livorno, oppure passando per le Alpi. Dalla secondo metà del '700 molti intraprendono il viaggio in Sicilia attraversando la Puglia e la Calabria o imbarcandosi a Napoli verso Palermo. Il Mezzogiorno diventa la meta più interessante perché rappresenta la culla della Magna Grecia e perché "lì sopravvivono riti e miti che la civilization ha cancellato: l'ammirato stupore suscitato dalla scoperta di Pompei ed Ercolano induce a spingersi oltre, a Paestum e in Sicilia alla ricerca del Dorico" (Cesare de Seta)

Il fenomeno più evidente all'interno della istituzione del GRAND TOUR è il collezionismo. Erano preferite le vedute di Canaletto, di Vernet, di Claude Lorrain e le vedute di antiche rovine organizzate in composizioni di gusto teatrale ("i capricci romani") di Giovanni Panini. Molti artisti si occupavano anche di restauro e della mediazione per l'acquisto, come accade per Piranesi, Cavaceppi e Pacetti. Altro fenomeno evidente è la fitta rete dei centri culturali a cui fanno capo aristocratici e borghesi: innanzitutto lÆAccademia di Francia a Roma che ospita i vincitori del Grand Prix indetto dall'Accademia di Belle Arti di Parigi. La bottega calcografica di Piranesei raccoglie numerosi estimatori e committenti inglesi e diversi allievi francesi. La Biblioteca del Cardinale Albani è frequentata dal Winckelmann, dal Mengs, Anton von Maré, Angelika Kaufmann, Tischbein, Kneip e Hackert, Due figure molto importanti sono i consoli di Sua Maestà britannica a Venezia, Firenze e Napoli (Sir Joseph Smith, Sir Horace Mann e Sir William Hamilton) che introducono gli artisti inglesi nella società locale e promuovono il collezionismo di opere di artisti italiani in Inghilterra.

Tra i documenti utili per lo studio del GRAND TOUR ci sono sicuramente le numerosissime guide che erano note già dalla fine del seicento. Si pensi al "Voyage d'Italie" di Maximillien Misson (1961).

I libri, soprattutto nel genere saggistico, rappresentano uno dei veicoli più efficaci nella diffusione del gusto ma, mentre la letteratura settecentesca fornisce un'analisi oggettiva e analitica riguardo il viaggio in Italia, come nell'Italienischereise di Goethe (1763), nell'Ottocento testi come il (1821-31) di Heinrich Hume sono testimonianze di "Impressioni di Viaggio" che risentono dello spirito dello Sturm und Drang, ma il testo che più di tutti favorisce la diffusione della cultura classica è certamente il Geschichte der Kunst des AlterHums (1764) di Winckelmann.

La mostra al Palazzo delle Esposizioni nasce dalla collaborazione con la Tate Gallery di Londra dove è stata già esposta lo scorso anno. Si è preferito dare un taglio di tipo iconografico piuttosto che geografico-cronologico probabilmente perché è difficile, se non impossibile, stabilire le influenze tra gli artisti e le origini di uno stile o di un tema visto lo scambio fittissimo delle conoscenze artistiche attraverso la circolazione delle opere e degli artisti.

Le prime sale ospitano la pittura di paesaggio, un genere rinnovato da Gaspar Van Wittel, pittore olandese della seconda metà del seicento responsabile della fusione tra la tradizione nordica e quella mediterranea. La sua influenza è ravvisabile nei paesaggi fiorentini di Thomas Patch. A Napoli lavorano Thomas Jones, Antoine Volaire con le loro eruzione del Vesuvio e poi Michael Wutky, Pietro Fabris e Wright of Derby che sono affascinati dai Campi Flegrei.

Joseph-Claude Vernet si specializza nelle marine e Jonathamn Sckelton e Hackert dipingono i laghi laziali.

Del viaggio vengono rappresentati anche gli aspetti più quotidiani come i posti di ristoro: G. Tiepolo "Il Baruchello", W. Marlow "Stazione di posta vicino Firenze" e Louis Ducros "Sosta a San Vito".

Un'intera sala è occupata dal genere della caricatura che vede come oggetto gli stessi viaggiatori come "Gli asini d'oro" di Thomas Patch (1761) oppure lo spirito di riscoperta della classicità come nel quadro di Reynolds che fece la parodia del capolavoro di Raffaello "La Scuola di Atene" presentando i membri di un circolo culturale in atteggiamenti rozzi e scomposti.

La sezione finale della mostra è interamente dedicata ai rilievi dei monumenti antichi, tra cui le famosissime acqueforti di Piranesi e gli studi di Vincenzo Brenna ("Prospetto esterno del Colosseo", "Sezione interna del Colosseo con spettatori", "Decorazione policroma con soggetti mitologici di un soffitto delle cosiddette Terme di Tito" e "Studi architettonici dei templi di Paestum") particolarmente sorprendenti per la qualità del disegno e per l'attenzione data al colore.

Si consiglia, infine, di prestare particolare attenzione alla collezione di oggetti decorati con disegni delle rovine di Roma: ventagli con le vedute di Venezia, del Vesuvio, del Pantheon (tutti risalenti alla seconda metà del '700), una tabacchiera di Giacomo Raffaelli, uno dei maggiori mosaicisti del '700 e un meraviglioso braccialetto con un mosaico di smalti su montatura d'argento.



	

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