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Caillebotte: il fantasma dell'impressionismo Paris,
Grand Palais
Tommaso Megna
ISSN 1127-4883     BTA - Bollettino Telematico dell'Arte, 11 luglio 2000, n. 26 (14 gennaio 1995)
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Credo che l'unica cosa che un artista non si augurerebbe mai, sia quella di passare inosservato, di essere dimenticato, di non provocare sentimenti e discussioni. È l'amaro destino che, oltre a chissà quanti altri, ha colpito anche Gustave Caillebotte (1848-1894), uomo eclettico ed artista sensibile, il cui nome, l'oblio ha celato al grande pubblico per quasi un secolo.

Ora una interessante mostra al Grand Palais di Parigi, terminata il 9 gennaio, con l'esposizione di quasi 120 opere dell'artista, ha tentato di spazzare via la polvere che ha ricoperto il suo nome per tutti questi anni. In questo senso lo ripropone non solo come pittore pienamente impressionista, ma anche come intellettuale e raffinato mecenate, amico di più gloriosi contemporanei come Monet e Manet o come Renoir che fu anche il suo esecutore testamentario e come De Nittis la cui famiglia lo ospitò durante il suo soggiorno a Napoli del 1872.

Ed effettivamente basta scorrere la biografia di Caillebotte per accorgersi di quanto fu attento amico, in special modo nei momenti economicamente difficili, di coloro che, oggi, conosciamo come i grandi impressionisti: ad esempio, nel 1877, prese in affitto, unico a poterselo permettere, un locale per la terza esposizione impressionista e nella stessa occasione acquistò alcuni dipinti di Renoir; due anni più tardi invece, fornì a Degas i finanziamenti necessari per la realizzazione del giornale Le Jour e la Nuit ed infine, nel 1884, recuperò per Monet il famoso Dejeuner sur l'herbe dato in pegno precedentemente.

Ma la mostra di Parigi vuole soprattutto farci conoscere un artista che non fu mai compreso ed amato dai suoi contemporanei, proprio lui che, invece, ha dato prova di aver compreso i fermenti positivi della propria società e le brutture che essa stessa stava per produrre. Dicevo di come Caillebotte fosse pittore impressionista, nel senso che ne acquisì il linguaggio intuendone la novità, e penso di non allontanarmi troppo dal vero affermando che egli fu tra i più moderni di questo gruppo poiché riuscì a far nascere dai suoi quadri delle riflessioni, dei rapporti che superano, senza dubbio, la pura descrittività.

Mi riferisco, in particolare, alla serie di vedute di Parigi, spesso da una finestra, che Caillebotte realizzò a partire dal 1876: quadri in cui mi sembra evidente la sofferenza e la solitudine dell'uomo nella vasta ed invadente Parigi. Un tema, questo, che l'artista affronta senza enfasi e anzi, quasi con delicatezza: come per non disturbare i propri personaggi che osservano assorti la città incombente. In dipinti come Jeune homme à sa fenêtre del 1876 o Homme au balcon del 1880 o ancora come le due rappresentazioni de Le Pont de l'Europe è quasi tangibile la difficoltà dei protagonisti ad entrare a far parte di una società volubile e schizofrenica; è come se la grande città rendesse difficili anche i piccoli contatti umani, robotizzando i gesti quotidiani e creando un muro di incomunicabilità insuperabile.

Ed è proprio questo, forse, il vero fulcro delle opere più significative di Caillebotte, il vero cruccio dei suoi personaggi scuri e pensierosi che riflettono su un binomio, città e uomo, che non si fa drammatico nei quadri dell'artista ma si traduce in un alone claustrofobico, in una presenza impalpabile ma gravosa.

Mi sembra che Caillebotte avesse intuito il dramma dell'uomo- individuo, "senza importanza collettiva" e lo ha finemente colto pensieroso e triste per il suo destino di solitudine.



	
 

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